A Londra con l’espressione bicycle commuting si intende l’utilizzo della bicicletta per gli spostamenti casa – lavoro. A Roma credo che solo una piccola percentuale di popolazione sia in grado di tradurre tale espressione, ma, pur volendo spiegarla in italiano come “pendolarismo in bici”, non si potrà in ogni caso raggiungere che una piccola platea di persone interessate al tema. Già di per sé la parola pendolarismo è qualcosa che si adatta di più a chi si trova a vivere in un limbo, tra una città e l’altra, mentre la popolazione che vive nel largo agglomerato del Comune di Roma spesso non sembra avere la consapevolezza di vivere quella vera e propria condizione di “pendolare”. Gli abitanti del quartiere Quadraro a Roma negli anni del secondo dopoguerra usavano l’espressione “vado a Roma”, per comunicare l’intenzione di superare la famosa “salita” (del Quadraro) che separa da sempre l’area sud della Tuscolana dalla parte più centrale, che parte idealmente dalla “Porta furba”, realizzata dal Papa Sisto V a fine ‘500 e giunge nell’odierna piazza Re di Roma. Oggi nessun abitante del Quadraro utilizzerebbe tale espressione, in quanto il quartiere è da circa quaranta anni ben collegato con il centro città da una veloce metro, che tuttavia patisce, come noto, i ritardi nella costruzione di altre linee. Fino al 16 febbraio 1980 il Quadraro viveva un dolce isolamento dal centro storico, raggiungibile lentamente attraverso una lenta linea tramviaria. Oggi il pendolare è identificabile nell’abitante di aree della città esterne al GRA, poco servite dai mezzi pubblici o da linee ferroviarie regionali. Pochi romani, tuttavia, parlano di sé come pendolari, accettando quasi di buon grado, di vivere a distanze siderali dal proprio luogo di lavoro, impiegando un’ora abbondante per raggiungere l’ufficio. Raggiungere il luogo di lavoro in un tempo limite di 30-40 minuti e, soprattutto, poter ritornare presso il proprio domicilio nello stesso tempo è un’aspirazione che per tanti resta nel libro dei sogni. A Roma ciò è davvero difficile per buona parte della popolazione. In altre grandi città, come ad esempio Milano è la norma; per di più il cittadino milanese non concepisce in alcun modo che il tragitto casa-lavoro possa avere una durata superiore ai 60 minuti. Solitamente l’abitante di Legnano, comune autonomo a oltre 30 km di auto da Milano impiega mediamente, con i famosi “passanti ferroviari” tra i 35 e i 45 minuti per raggiungere la stazione centrale di Milano, proseguendo poi in metro, bus o tram. Difficilmente parlerà di sé come un pendolare. Non si sentirà milanese, sarà forse al limite del “pendolarismo”. Solo chi impiega mediamente un’ora sarà considerato un vero e proprio “pendolare” a Milano.
Solitamente questi si identificano con gli abitanti dei comuni del monzese che in tanti casi lavorano a Milano e non nella più vicina Monza.
A Roma tutto cambia: chi vive nell’area di Roma Est (Lunghezza, Ponte di Nona, Castelverde), per raggiungere il centro (distanza auto tra i 18 e i 22 km) impiegherà molto tempo, un’ora è un’ipotesi ottimistica. Se dovessimo considerare i 30 km di distanza dal centro città di Legnano, come termine di paragone dovremmo considerare Cesano (che non è comune, bensì frazione di Roma!), che ha la stessa distanza dalla stazione Termini. Ebbene, in questo caso, l’abitante di Cesano impiegherebbe oltre un’ora per raggiungere il centro città, con tutta probabilità anche un’ora e 30 minuti, un tempo incredibilmente lungo, lo stesso tempo che impiega un pendolare tra Roma e Firenze.
Tutto ciò per sintetizzare la lunga premessa: Roma non ha una rete ferroviaria veloce per gli spostamenti degli abitanti del grande agglomerato di aree e frazioni esterne al GRA. Al netto di questa carenza, che impedisce agli abitanti degli agglomerati esterni al GRA di raggiungere il centro di Roma agevolmente, per poter parlare di intermodalità di trasporti è opportuno concentrare l’attenzione all’interno del grande “cerchio” di Roma (l’area interna al GRA), composto da periferie difficili, periferie ben collegate, semi-periferie e quartieri centrali.
La mia esperienza è, pertanto, quella di un fortunato abitante del quartiere Tuscolano, dove l’esperienza del bike commuter può avere migliori possibilità, perché il contesto è quello di un quartiere semi-periferico e già ben collegato al centro.
Il tragitto casa-lavoro di un abitante del VII Municipio è mediamente più agevole di chi vive in altri Municipi, ma sconta comunque alcune lentezze, che possono purtroppo diventare la norma. Il caso naturalmente è quello di un lavoratore che si dirige verso il centro di Roma. Il primo step è ovvio, l’attesa di un bus a pochi metri da casa, se non si vive nei pressi della metro (pensiamo alla zona di Cinecittà est). Qui inizia a scorrere il tempo-attesa, con la variabile aggiuntiva del traffico. Il secondo step è la metro. Il terzo, in molti casi, è un nuovo bus, nei percorsi del centro non coperti da metro o tram. Mediamente, anche in questo caso, i tempi del tragitto casa-lavoro arrivano a coprire un’ora abbondante, a volte di più. E a volte (pensiamo al caso di aree come la Romanina, Tor Vergata o Morena), quel breve tragitto che separa dalla metro viene coperto con l’auto, lasciata poi parcheggiata a 500 metri dalla metro, con ulteriore perdita di tempo. Dunque si utilizza la macchina per percorrere 1-2 km. La conseguenza è una via Tuscolana caotica, densa di smog, da presidiare costantemente per il massiccio tentativo di lasciare l’auto in doppia fila un po’ ovunque.
Il VII Municipio si presta bene, forse meglio di altri Municipi, all’intermodalità dei trasporti: la presenza di una linea metro con 6-7 fermate ravvicinate lungo uno stesso tracciato, ne fanno uno dei migliori ambienti per l’utilizzo contemporaneo della bicicletta e del mezzo pubblico, senza considerare la possibilità (futura) di variare il percorso lungo l’Asse degli Acquedotti, idea elaborata dal Settimo Biciclettari per “utilizzare questo asse come una sorta di direttrice, una dorsale su cui attestare dei percorsi di raccordo ciclo-pedonali verso tutti i quartieri del Settimo Municipio” (cit. blog Settimo Biciclettari).
La mia esperienza di bike commuter è ormai consolidata: da circa 6 mesi utilizzo giornalmente la mia flessibile e leggera bicicletta pieghevole per raggiungere il luogo di lavoro in pieno centro, utilizzando la metropolitana e successivamente pedalando senza fatica alcuna in un tratto reso sicuro dalla chiusura ai mezzi privati, con qualche difficoltà nei punti difficili, dove il traffico aggressivo consiglia prudenza e qualche passaggio sul marciapiedi (inevitabile in uscita dalla metro con la bici a mano). Riesco, dunque, mediamente ad impiegare 30 minuti complessivi per percorrere il tragitto lavoro-casa con un risparmio di tempo di 30 minuti rispetto al tempo che impiegavo in precedenza, quando i trasbordi da un mezzo pubblico all’altro rallentavano molto il viaggio, reso anche stressante dalla calca inevitabile delle ore di punta, dal tempo-attesa alle fermate del bus/tram e dai tratti da fare a piedi tra le fermate metro/bus/tram.
Ho acquisito ormai la piena consapevolezza del valore realizzato con l’investimento, che è un valore in termini di aumentato benessere, di risparmio di tempo e di diminuzione dello stress. Sono convinto che le piste ciclabili aumenterebbero il mio benessere e accorcerebbero ancor di più i tempi, oltre a non creare inutili polemiche con l’automobilista e il pedone (due categorie che non si contrappongono affatto al ciclista).
Roma è pur sempre una città difficile, soprattutto per le fasce deboli della popolazione e per le persone anziane. Per un’utenza di età variabile dai 20 ai 65 mi sento di consigliare l’utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto intermodale, non solo alternativo, ma sostitutivo dell’automobile e del bus, da accompagnare, quindi, alla metropolitana. E’ una valida, se non essenziale, opportunità per chi non intende affrontare lunghi itinerari dalla periferia al centro città, ma vuole accorciare i tempi di attesa, utilizzare sia la metro che la bicicletta percorrendo a pedali non più di 3-4 km per tratta. Non essendo stati (ancora) realizzati stalli per il bike sharing comunale in corrispondenza delle fermate della metropolitana, il bicycle commuting è la risposta più adatta ad un mondo che va nella direzione dell’ecosostenibilità. Copenaghenizzare Roma è forse un’utopia, ma l’esperienza si può diffondere.
Mauro Minieri